Nell’agosto 2016 è morto a 95 anni sua maestà Naaba Tigré, Chef Coutoumier di Nanoro, autorità tradizionale dei Mossi, l’etnia più diffusa del Burkina Faso. Leader incontrastato e carismatico, che per 46 anni ha saputo gestire con grande umanità e rettitudine il suo popolo.
Per alcuni di noi di Artaban Onlus, che per 18 anni hanno avuto il piacere e l’onore di essere accolti in casa sua come fratelli, è stata una perdita gravissima. A suo figlio Naaba Karfo, che gli è succeduto per ordine dinastico, abbiamo immediatamente portato i nostri migliori auguri per l’importante incarico da ricoprire, unitamente all’assicurazione che la collaborazione sinora prestata da Artaban non verrà a mancare.
La stessa conferma che poco più di tre mesi prima del suo decesso i nostri volontari avevano personalmente rinnovato a Naaba Tigré nel corso di un incontro franco ed affettuoso, da lui stesso sollecitato presso la sua abitazione. Un incontro che ha voluto terminare – come sua consuetudine – facendoci il dono simbolico di un gallo e di una gallina, accompagnandoci poi non sino all’uscio, come da cerimoniale verso ospiti di riguardo, ma addirittura fino alla macchina. Rinnovando ancora una volta quel gesto di stima che egli aveva con noi, così ben descritto già nel lontano 2005 da Augusto Grandi, vice-presidente di Artaban Onlus e allora giornalista del Sole 24 Ore nel suo volume Sistema Piemonte (Intergrafica): “I piemontesi che arrivano a Nanoro non sono stranieri, e neppure ospiti. Sono nostri fratelli, nostri amici. Parola di re. Naaba Tigré, re di un vasto territorio che fa parte della repubblica del Burkina Faso. Un re. Un re povero, che ha lavorato per mantenere la sua sterminata famiglia. Ma pur sempre un re cui guardavano con devozione alcune centinaia di migliaia di abitanti’.
E la sua dichiarazione d’affetto per i piemontesi – ribadiva ancora Grandi in un suo articolo nell’inserto NordOvest del Sole 24 Ore dell’11/3/2005 – “non è altro che una dimostrazione di gratitudine per quanto religiosi e laici subalpini stanno facendo per la sua gente (…) aiuti fondamentali, considerando che per arare si utilizzano ancora piccole zappe, mentre, per portare l’acqua ai villaggi, le donne e le ragazzine camminano per ore per raggiungere i pozzi e affrontano il ritorno con bacinelle da 30-40 kg sulla testa”.