Dall’esperienza di volontariato all’interno degli istituti di pena di Pisa e di Rebibbia N.C. a Roma, è nato il Premio nazionale “Le favole di Artaban”, con l’obiettivo di sollecitare i carcerati alla scrittura di fiabe destinate alla lettura dei propri figli e nipoti, veri o virtuali. Uomini dietro le sbarre (inspiegabilmente, neppure una donna, nessuna mamma, nessuna sorella o nonna: una anomalia che meriterebbe un approfondimento socio-psicologico sulle cause), ad espiare colpe commesse o, purtroppo, a subire una detenzione ingiusta a causa di un errore giudiziario. “Buoni” e “cattivi” con un comune sentire: la sofferenza per la lontananza forzata dai propri figli, l’impossibilità di vederli ed abbracciarli a piacere, la nostalgia di non poterli far sedere sulle proprie ginocchia o di accoccolarsi ai piedi del loro lettino per raccontare loro una favola che li faccia sorridere e li rassereni… Un mezzo utile a creare, o rinsaldare, i rapporti necessariamente limitati tra chi è al di qua e chi è al di là delle sbarre, per offrire un momento di relazione serena tra i genitori detenuti ed i loro figli, stimolando la creatività, la fantasia ed i rapporti affettivi.
I carcerati, talora con la consulenza degli operatori, hanno inventato storie commoventi che, inevitabilmente, rispecchiano spesso le loro vere storie personali. Ma trasformate, reinventate, trasposte in epoche future, in passati remoti, in mondi paralleli. A volte recuperando fate e folletti, maghi e streghe; in altri casi animali che parlano o robot dal cuore umano.